LAVORARE STANCA ?
Un progetto di reinserimento attraverso il lavoro.
Le testimonianze sono state raccolte e redatte da Antonella Cammarota e Donatella Barazzetti membre del comitato direttivo dell'Associazione Tininiska Italia Onlus.
Come un fesso
Non credo più alle favole E non sono più convinto Di quello che dicevano le mie tavole Perché ormai mi do per vinto
Ora sono alcuni anni Che non sento più voci Non temo più inganni E non prevedo vendette atroci
E spero che un giorno imparerò A stare meglio con me stesso E che non mi limiterò Ad oziare come un fesso
Andrea Mascioli, I miei Crismi, Roma 2012
Le parole che contano. Il lavoro per me vuol dire ….
Parlare dell’importanza del lavoro nella cosiddetta società del non-lavoro può sembrare un po’ fuori moda, ma a volte riflettere su un tema partendo dalle situazioni estreme può aiutare a fare chiarezza anche più in generale. Di fatto, per quanto il lavoro sia un termine che popola i discorsi di ogni giorno e il suoi significati appaiano largamente condivisi, essi sono in realtà profondamente diversificati e assumono valenze differenti a seconda delle persone e del loro vissuto. Patrizia, Ali, Marco (una madre, un immigrato, una persona con sofferenza mentale) ci dicono:
Quando mi sono laureata avevo grandi sogni e tante speranze. Ero felice ma inconsapevole di quello che sarebbe stato il mio continuo entrare ed uscire da una porta girevole ad un’altra, di aziende e uffici vari. Per quanto “dinamico” sia il mio lavoro attuale, l’idea di svegliarmi la mattina e avere qualcosa che mi aiuti a lasciare in sospeso la mia routine di madre “tutto fare” per qualche ora, mi fa sentire meglio. E quando rientro a casa stanca mi piace tuffarmi tra le braccia del mio piccolino. (Patrizia)
Sono venuto in Italia per cercare lavoro. Nel mio paese sono geologo, qui faccio il pizzaiolo. I soldi che guadagno in parte li riesco a mandare a casa, gli altri divido l’affitto con due miei connazionali. Spero di riuscire a tornare presto a casa mia e riabbracciare la mia famiglia. (Alì)
Già dopo il quinto mese mi hanno messo a lavorare in cucina perché qua non c’entra la pazzia, ma lavorare dipende dalla volontà di lavoro che uno ha, ed io ne ho molta.” (Marco)
Per Patrizia il lavoro non è quello dei suoi sogni e delle grandi speranze, ma è comunque uno strumento per recuperare all’esterno le energie da riversare in famiglia. Per Ali, geologo divenuto pizzaiolo, è comunque un supporto economico che permette un livello di vita più confortevole che nel proprio paese.
Per Marco è un impegno legato alla volontà, alla determinazione a lavorare. In questo senso il lavoro si riempie di mille significati. E risponde alla diversità di percorsi attraverso cui ciascuno persegue la propria realizzazione/identità. Questo è particolarmente evidente nei casi di persone con sofferenza mentale.
Ti aiuta ad inserirti altrove, in un altro ambiente. Ti decomprimi. Per me il lavoro è terapeutico (Stefano)
Ho sempre lavorato, fa parte della mia cultura il lavoro. Lavorare nella malattia mentale credo sia allontanare le fissazioni, il consiglio che darei io è quello di impegnare la mente al lavoro e allontanare le fissazioni. (Enzo)
A me qualsiasi cosa piace, io non mi spavento del lavoro, ma anche perché se non lavoravo mi buttavo nel letto come fanno gli altri. I primi due anni io stavo nel letto ma grazie al lavoro mi sono alzata. (Ilaria)
Il lavoro diventa in questi casi quasi terapeutico: aiuta a uscire dal letto, allontana le fissazioni, aiuta a inserirsi. Come dice Stefano, che fa il giardiniere, il lavoro è uno spazio fuori dalla cappa della cura che consente di misurarsi con la propria capacità di vivere nella società.
Occorre, a questo punto, porre una questione centrale. Quanto è utile il lavoro nei percorsi di chi tenta di ricomporre la propria vita? E’ uno strumento valido di per sé, e in ogni caso?
Reinserirsi attraverso il lavoro?
Abbiamo posto il problema della funzione del lavoro nei percorsi di reinserimento dei sofferenti mentali a operatori coinvolti nel problema. Per Angela, operatrice presso la Comunità Reverie di Capena (RM), il lavoro è molto importante, ma a certe condizioni:
Propriamente non è il lavoro di per sé un veicolo di salvezza. Il problema è che bisogna costruire un percorso. Anzi il lavoro di per sé è qualcosa anche di molto violento per tutti. Figuriamoci per una persona che ha delle fragilità (...). La rete che si costruisce è fondamentale, altrimenti è una esperienza che non è, o è difficilmente sostenibile, (….) bisogna accettare anche che non tutti siamo uguali, non possiamo fare le stesse cose. Ci sono persone che avranno delle fragilità, magari per un tempo molto lungo e non si può pretendere da queste persone che siano produttive come gli altri. Quindi né negare la fragilità, neanche entrare in una logica assistenzialista, per cui si offre tutto al cento per cento. Mettere in campo la giusta responsabilità che uno può mettere in campo, appunto.
Il lavoro è importante perché restituisce l’idea di avere un ruolo nella società. “ti immette nel tessuto sociale”. Ed è un modo per mettere in gioco capacità, anche piccole, ma in modo diverso da quello che avviene in molte delle attività proposte dentro i servizi.
(…) il discorso del guadagno, sto pensando, è importante perché è diverso dai laboratori, che fai nei servizi da cui sei seguito. Ci deve essere un compenso, lo schema lavorativo deve essere quello di tutti gli altri, perché il guadagno sancisce il valore di quello che tu stai facendo.
Il lavoro è dunque una possibilità di reagire alla chiusura in se stessi, il suo carattere collettivo apre all’esterno. Occorre però che sia giustamente costruito:
Non deve essere troppo, la proposta non deve essere troppo, se è troppo si rischia di svalutare la propria autostima, di pensare che non sei in grado. Ma se la proposta è ben collocata per la persona, uno può uscire dall’isolamento rispetto a se stesso alla propria persona.
Secondo Angela quindi occorrono progetti calibrati sulle capacità delle persone, supportati da una rete di sostegno adatta alle necessità dei singoli. Allora il rapporto con le attività lavorative può diventare un successo e in genere, nella sua esperienza, così è stato.
Anche lo psichiatra Franco Scotti sottolinea l’importanza e al contempo le contraddizioni del lavoro per chi soffre di disturbi psichiatrici:
Il periodo attuale si presta per eccellenza a capire quale sia il senso del lavoro, perche il fatto che il lavoro manca mostra quali conseguenze ha non soltanto economicamente ma in termini di autostima e nella capacità di socializzare per le persone presunte normali. E quindi è una umiliazione la mancanza di lavoro. (…) Il problema è se le persone che hanno sofferto di disturbi psichici hanno un margine maggiore di fragilità di fronte a situazioni di questo tipo e quindi richiedono non lavori “finti”, ma un lavoro non alienante. Questo è un punto fondamentale perché molto spesso l’adattamento al lavoro avviane attraverso una rinuncia (…). Però uno fa il sacrificio perché meglio di cosi non viene la cosa. Ecco io credo che dovremmo pensare ai benefici di un lavoro non alienante, quindi di un lavoro che mantenga sempre un livello di significato per la persona che lo fa. Perché se perde di significato, la persona che ha una storia psichiatrica fa più fatica a recuperare e quindi questo richiede una serie di precauzioni che devono essere affrontare nell’avvio, nella organizzazione dei servizi, che devono favorire questo senza essere elementi di degrado della situazione lavorativa.
Il progetto
Con il progetto In cammino sono stati avviati due tirocini lavorativi, in due differenti strutture, una pubblica e una privata (Bibliotechediroma e Associazione Culturale A. Branca). Entrambi i soggetti erano in uscita dalla Comunità Reverie di Capena, dopo un percorso di cura e riabilitazione. Il progetto è stato finanziato dalla Provincia di Roma. Il progetto è nato dalla collaborazione e dal confronto che si è instaurato negli anni tra l’Associazione Tininiska e la Comunità Reverie di Capena.
Un nodo cruciale della cura dei pazienti con sofferenza psichiatrica è costituito dall’uscita dalla comunità terapeutica e dal ritorno alla “normalità”. Di questa normalità, insieme all’abitare, fa parte la possibilità di riprendere dei ritmi di vita accettabili e il lavoro è una parte importante di questi ritmi. Anche la formazione può costituire un elemento che aiuta a riprendere dei ritmi, come nel caso del tirocinio presso l’ACAB.
La specificità e l’originalità del progetto sta nell’aver avviato una rete di collaborazione tra pubblico, privato sociale e utenti al fine di individuare percorsi lavorativi idonei e adeguati ai bisogni del paziente e della struttura. Il suo successo è dipeso:
1. dall’attenta preparazione e dal costante monitoraggio fatti dall’equipe di Tininiska e della Reverie
2. dalla collaborazione e disponibilità dell’ACAB e della rete Bibliotechediroma, in particolare della Biblioteca Villa leopardi coinvolta nel progetto
3. dalla costanza nell’impegno dei tirocinanti
Organizzazione del progetto
1. inserimento biblioteca
I contatti con Bibliotechediroma sono stati presi dalla presidente dell’associazione Tininiska con cui è stata stipulata una convenzione. L’esito del progetto è stato positivo sia per il ragazzo tirocinante che per la biblioteca. All’inizio si è dovuta superare la “normale” diffidenza nei confronti dei pazienti psichiatrici, pensati come categoria astratta. La conoscenza e il lavoro quotidiani hanno permesso al tirocinante di lavorare con attenzione e disciplina ed al personale della biblioteca di apprezzarne l’apporto. Il clima cordiale e collaborativo presente in biblioteca ha agevolato il processo d’inserimento.
2. inserimento centro di documentazione
Per quanto riguarda l'Acab è stato concordato il progetto d’apprendimento lavorativo. Si è stabilito di realizzare delle lezioni d’archivistica audiovisiva, che ben si presta a diventare un’esperienza sensoriale complessa, costruita con parole dette, parole scritte, suoni, immagini statiche e in movimento. Il ruolo del docente ha contribuito a pianificare l’uso dei vari strumenti mediatici, alla gestione critica dei messaggi, alla verifica dei risultati. Anche l’orario è stato concordato tenendo conto delle esigenze del tutor/docente e della tirocinante, con il consenso dell’operatrice.
Risultati conseguiti
La realizzazione del progetto ci ha permesso di ottenere interessanti risultati, anche oltre le nostre aspettative iniziali. Possiamo così sintetizzarli:
1. la creazione di un gruppo di lavoro Tininiska-Reverie, formato da diverse figure professionali e volontari, che ha seguito e monitorato il progetto e si è fatto promotore di nuove iniziative;
2. la verifica dell’importanza di costruire una rete, nel difficile momento per i pazienti psichiatrici del passaggio dalla comunità terapeutica al reinserimento nella “normalità”, che valorizzi l’azione del territorio stesso;
3. le possibilità di dare una continuità al progetto attraverso altri interventi quali le borse lavoro.
In entrambi i casi è stata fondamentale la presenza delle operatrici, che hanno aiutato a rimuovere e gestire le ansie e le paure che un’attività nuova, in un ambiente sconosciuto, può in ogni caso generare, favorendo così una forte assunzione di responsabilità, avviando sia Ludovica che Maurizio a un processo di autonomia.
I protagonisti del progetto
Abbiamo intervistato i due tirocinanti e i rispettivi tutor per cercare di cogliere, attraverso le dimensioni soggettive, quelli che sono state le positività e i punti critici del progetto.
Partiamo da quello che ci raccontano i due tirocinanti:
Il lavoro che faccio è abbastanza importante, è un impegno settimanale che mi prende un po’ di tempo, invece di annoiarmi faccio qualcosa. Io metto a posto i libri, i CD e i DVD il mio lavoro si chiama Houser ritorna a casa, i libri vengono restituiti al front office, vengono scaricati sul computer e messi su un carrello. (Maurizio)
Avere ritmi costanti durante la settimana mi è stato molto utile proprio per iniziare di nuovo ad abituarmi a riprendere dei ritmi simili a quelli lavorativi e a dare più enfasi alle mie giornate. (Ludovica)
Entrambi sottolineano la necessità di riprendere dei ritmi di attività, sia per non annoiarsi ma anche per cominciare a percepirsi non come un malato psichiatrico, ma come uno che può lavorare. Poter rispondere a chi ti chiede cosa fai: lavoro in biblioteca o in un centro di documentazione permette anche di avere argomenti leggeri per poter parlare di sé.
Ma prendere questi ritmi non è stato semplice ed entrambi i tirocinanti sottolineano l’importanza dell’operatore che accompagna:
Per me è stato molto importante essere accompagnata da un’operatrice, mi ha dato la possibilità di approfondire un rapporto, mi ha fatto condividere con qualcuno l'esperienza per me importante e poter condividere opinioni e sensazioni. (Ludovica)
L’operatrice aiuta anche ad affrontare le difficoltà e a superarle:
L’aspetto sul quale abbiamo dovuto lavorare insieme più intensamente, è relativo alla gestione dei momenti vuoti in cui non ha lavoro da sbrigare, e nel mantenimento della puntualità e continuità dell’orario di lavoro......... da questo punto di vista, posso dire che Maurizio è diventato più capace di tollerare le oscillazioni dei ritmi di lavoro, e contenere l’ansia...... Un secondo aspetto su cui abbiamo lavorato, e’ stata la puntualità nei turni del mattino e un ridotto numero di assenze. ..... alla luce di questa sua maggiore autonomia, abbiamo concordato con la biblioteca che il pomeriggio andasse da solo, verificando una buona tenuta e continuità.... (operatrice)
E’ importante che il lavoro sia tollerabile per i pazienti, per questo sono state previste solo sei ore settimanali, due ore per tre giorni in un caso e tre ore per due giorni nell’altro:
Non è un lavoro pesante, perché è un lavoro abbastanza rilassante, poi non sei da solo io due volte su tre lavoro con un altro ragazzo e una volta da solo. (Maurizio)
Avere un impegno costante che ti faccia uscire di casa è un elemento importantissimo come sottolinea in precedenza anche Ilaria. A Trento c’è un’associazione di volontari che si chiama “giù dal letto” e che si occupa prioritariamente di fare alzare e ricominciare a vivere quei pazienti che passano le loro giornate passivamente. Anche se l’idea di dover uscire a volte costa fatica, quando si riesce ci si sente soddisfatti come ci dice Maurizio: forse la cosa più pesante è l’idea di andare a lavorare, uscire di casa, poi quando sono lì il tempo passa abbastanza in fretta.
Questa attenzione alle esigenze dei pazienti e all’importanza che riuscissero nell’esperienza ha fatto sì che, nel caso di Ludovica, si cambiasse il lavoro di catalogazione precedentemente pensato presso Acab, come ci spiega il regista che ha seguito il tirocinio di Ludovica:
Durante i primi incontri ho spiegato a Ludovica come doveva essere il lavoro, ma mi sono reso subito conto delle difficoltà legate alla mancanza di conoscenze tecniche per svolgere tale lavoro. Quindi ho proposto.......un altro tipo di lavoro, la visione di film/documentari con spiegazione delle varie tecniche di regia, montaggio etc. Ludovica si è dimostrata subito interessata a questa nuova proposta, in quanto fin da subito ha esplicitato la sua passione per il cinema.
Questa attenzione e continuo monitoraggio del progetto da parte del gruppo di lavoro ha permesso a Ludovica di dire:
posso dire che vere difficoltà non ne ho incontrate, forse l'unica è stata abituarmi a vedere film o documentari durante la mattina.
Altro elemento importante è stato l’aver previsto una piccola retribuzione. Elemento questo molto apprezzato da entrambi i tirocinanti che, finalmente, hanno potuto disporre di una piccola quantità di denaro guadagnata con il proprio lavoro. Non più soldi ricevuti dalla famiglia o dall’assistenza ma guadagnati.
con il mio primo stipendio ho invitato i miei genitori ad un aperitivo. (Maurizio)
Il progetto In Cammino ora si è concluso, mentre ad entrambi piacerebbe continuare a lavorare.
mi piacerebbe continuare a lavorare, anche perché questa è una biblioteca sotto casa, un lavoro penso che serve a tutti, però non è facile già 12 ore mi sembrano tante, figurati 30 /36 non so se ce la farei, l’anno scorso ne facevo 6 alla settimana, ora ho raddoppiato. Non mi pesa. (Maurizio)
mi piacerebbe molto, vorrei poter continuare il lavoro fatto per poter ampliare la conoscenza su come si gira un film sul montaggio e provare in prima persona delle riprese. (Ludovica)
Ma mentre per Maurizio è stato possibile perché il CSM di via Sabrata a Roma ha messo a disposizione una borsa-lavoro per 12 ore settimanali, per Ludovica, almeno per ora, l’esperienza si è conclusa, anche se stiamo lavorando a nuovi progetti.
Le reti
In questi anni è andata crescendo l’importanza di costruire una rete di sostegno intorno alla persona psichicamente sofferente. Dalle stesse interviste che abbiamo riportato emerge spesso l’importanza di riferimenti istituzionalizzati e affettivi. Ma di cosa parliamo, quando parliamo di reti?
Partiamo dal fatto che il malato, come del resto ciascuno di noi, vive quotidianamente alla confluenza di molteplici reticoli di rapporti: familiari, amicali, istituzionali, medici e cosi via. Il problema non sta tanto nell’“inventare” relazioni, sta nella difficoltà di far dialogare tra loro queste innumerevoli componenti, in modo da rispondere agli infiniti bisogni che la sofferenza mentale trascina con sé. Pensiamo ai modi di coinvolgimento delle famiglie, alla gestione della cura, al supporto ai percorsi per “tornare a vivere”, alle possibilità d’inserimento nel lavoro, alla lotta allo stigma e ai pregiudizi nei confronti delle difficoltà psichiche; e questi sono solo una parte dei bisogni in gioco. Ciascun aspetto richiede, come rileva nella sua intervista Angela, un supporto adeguato. Quando pensiamo a una rete intorno alla sofferenza mentale, occorre dunque mettere a fuoco le relazioni che s’intrecciano intorno alla persona sofferente e occorre partire da queste.
Costruire una rete intorno alla sofferenza mentale tuttavia non è facile, Molti dei soggetti coinvolti non sono abituati a pensarsi in relazione con altri. Il terreno della sofferenza mentale è inoltre profondamente complesso. Non è automatico confrontarsi con esso, e non è automatico trovare piani di collaborazione tra più soggetti: occorre imparare a collaborare.
Dovremmo poi parlare non di una rete, ma di molteplici e differenti tipi di reti. Cosi, nell’inserimento lavorativo, può ad esempio essere necessaria una rete di supporto che sostenga il soggetto in questione nel percorso di inserimento, come è avvenuto in questo progetto. Può succedere che gruppi di familiari costruiscano una rete specifica per sostenere la possibilità che i sofferenti mentali abitino in modo autonomo, come è avvenuto con la nascita di Solaris nel II e III Municipio a Roma. Sempre più diffusamente si creano associazioni di familiari che promuovono un diverso rapporto con le istituzioni preposte alla sofferenza mentale. E sono nate associazioni e cooperative che si occupano di reinserimento lavorativo ……
Gli esempi sono innumerevoli e si situano a livelli diversi e con finalità diversificate.
Costruire reti di supporto alla sofferenza mentale significa dunque porsi su un terreno aperto e sperimentale. Significa però anche trovare un difficile equilibrio tra la capacità di sperimentare e la necessità di mantenere saldi i punti di riferimento della persona sofferente nel suo percorso di cura. Come sottolinea un’assistente sociale, figura di punta nell’orizzonte dei servizi psichiatrici di Roma:
i servizi sono stati in questi ultimi anni molto…. molto fecondi come dire, nell'approntare tutta una serie di griglie organizzative, no? Cioè appunto percorso ambulatoriale, percorso psicoterapeutico, il centro diurno, l'inserimento lavorativo, la comunità terapeutica, la struttura sociale abitativa. (…) C'è una griglia organizzativa potentissima. Il problema è: uno, cosa ci mettiamo in questa griglia organizzativa. E due come le facciamo utilizzare nel modo adeguato ai pazienti, che poi non sempre, voglio dire sono…non tutto è utile, non è utile per tutti che si segua necessariamente quel percorso. Il percorso deve essere in qualche modo personalizzato, ma ripeto qualunque cosa debba essere proposta deve essere proposta all'interno di una relazione terapeutica forte, se questa non c'è non ci sono griglie organizzative che tengono
Ci sembra importante, infine, sottolineare come le reti di relazioni non sempre siano immediatamente evidenti. Spesso non siamo in grado di considerare determinati rapporti come elementi importanti per il supporto alla persona sofferente. Li guardiamo con gli occhi dell’assuefazione, del dato per scontato, o non li mettiamo neanche a tema. D’altro lato esistono rapporti potenziali che non conosciamo ancora, “risorse nascoste” che man mano incontriamo, a partire dalle attività che mettiamo in atto. In entrambi i casi ”le reti nascoste” sono una dimensione importantissima e feconda per allargare le possibilità di supporto e intervento, per rafforzare i rapporti tra la persona sofferente e le reti che lo circondano, e tra le diverse parti che compongono queste reti, per “inventare” nuovi progetti e conoscere nuove pratiche e nuove possibilità. In questo senso è importante affinare l’attenzione verso queste risorse e contribuire all’ampliamento dei contatti tra soggetti diversi.
Il futuro
Abbiamo tutti sperimentato le difficoltà che accompagnano la possibilità di dare continuità nel tempo ai progetti. Si tratta spesso di confrontarsi con problemi di tipo economico per la sostenibilità nel futuro, ma anche di comprendere le criticità delle esperienze fatte, di riorientare le proposte e le possibilità, di interrogarsi sul senso di obiettivi e strumenti. Questo progetto non fa eccezione.
Cosa ci ha insegnato il progetto?
Una prima indicazione è relativa all’importanza che possono assumere, nei progetti d’inserimento lavorativo, le attività nel campo della cultura e dei servizi e in particolare le strutture pubbliche preposte a questi ambiti. Si tratta, infatti, di spazi con logiche diverse da quelle di mercato, dove sono preminenti le caratteristiche relazionali, il rapporto con gli utenti, la competenza, le capacità creative. Il livello istituzionale presenta inoltre solidi rapporti con il territorio, e, almeno potenzialmente, ha un forte orientamento alla formazione e all’aggiornamento del personale. Si tratta di caratteristiche molto importanti per offrire a chi presenta una sofferenza mentale le condizioni che possono favorire il successo di un reinserimento. Abbiamo visto, infatti, come i rapporti con la sofferenza mentale richiedano particolari competenze relazionali, la presenza di progetti d’inserimento adeguati alla persona coinvolta, il carattere flessibile dell’organizzazione del lavoro, la possibilità di una continuità lavorativa, sia pure a progetto, o sotto forma di stages.
In questo senso ad esempio la rete delle biblioteche comunali di Roma ha mostrato di avere tutte queste potenzialità e sarebbe davvero importante sviluppare una progettualità sistematica in questa direzione. Ma esistono molteplici esperienze d’inserimento, coronate da successo. E quando parliamo di successo intendiamo riferirci al fatto che le condizioni d’inserimento hanno consentito alla persona coinvolta di trovare il suo equilibrio: ha avuto i supporti giusti, le relazioni sul lavoro adeguate, i ritmi sopportabili e via dicendo. Manutenzione dei giardini pubblici, musei, cineteche, archivi hanno spesso mostrato di essere in grado di offrire una risposta commisurata alle difficoltà. E’ in questa direzione che ci sembra importante costruire una prospettiva.
Proprio nel solco di questa prospettiva Tininiska in collaborazione con l’associazione Solaris sta attualmente realizzando un corso di formazione per “volontari di quotidianità”. La dizione, forse poco usuale, intende sottolineare l’importanza di acquisire competenze che consentano di supportare le persone sofferenti psichicamente nei percorsi delle attività quotidiane, e dunque nella possibilità di tessere il vivere di tutti i giorni. Il corso utilizza uno strumento formativo fortemente innovativo quale quello dell’osservazione diretta insieme ad alcuni incontri con operatori del settore. L’osservazione diretta utilizzata parte dall’esperienza che lo psichiatra Franco Scotti ha sperimentato a Perugia e da lì è stata esportata a Roma e altrove. Il metodo si rivolge a tutti coloro che hanno al centro del proprio intervento la relazione con l’altro e aiuta ad affinare lo sguardo per vedere oltre l’immediato, per imparare ad assumere punti di vista altri. Sospendere il giudizio e fare il silenzio dentro sono i punti di partenza per poter intraprendere il tirocinio formativo che dovrebbe aiutare ad avere una migliore relazione anche con chi ci comunica tanta sofferenza e disagio.
Inoltre, tenendo soprattutto conto dei risultati soddisfacenti ottenuti dall’esperienza in Biblioteca, il CSM di via Sabrata a Roma ha deciso l’istituzione di tre borse lavoro in biblioteca per il prossimo anno.